Il Tempio d’Oro

Harimandir Sāhib, il Tempio d’Oro

 

             

 

 

 

Storia  e Tradizioni

Capolavoro di equilibrio architettonico e simbolo del Sikhismo, l’ Harimandir Sāhib, generalmente conosciuto come il Tempio d’Oro, racchiude in sé la tradizione culturale e spirituale della comunità Sikh e si intreccia indissolubilmente con la sua storia, fin da quando il 5° Gurū, Arjan (1581-1606), decise di iniziarne la costruzione.
Secondo la tradizione più accreditata, fu lo stesso Gurū Arjan a tracciare le fondamenta del santuario, probabilmente nel gennaio del 1588[1].
Esso sorge nella città santa di Amritsar, nel Panjab, a circa 60 km da Lahore (l’antica capitale, oggi in Pakistan), al centro di un bacino sacro, l’ Amrit Sarovar, il ‘Lago di Ambrosia’, il cui scavo era già stato iniziato dal quarto Gurū, Rām Dās (1534-1581), che si era stabilito in quei pressi.
In effetti, la terra dove si estendeva il Lago di Ambrosia, donata dall’ imperatore Moghul Akbar al terzo Gurū Amar Dās [2], oltre a possedere una naturale bellezza, emanava anche un particolare senso di serenità tanto che ―si racconta― il Buddha stesso, avendo visitato quel luogo, lo consigliò per l’eremitaggio[3]. Altre leggende vantavano le proprietà magico-religiose del sito, collegandolo ad episodi della mitologia induista; altre ancora  descrivevano le proprietà terapeutiche dell’acqua del lago [4].
Erano queste, dunque, le tradizioni che aleggiavano in quel  luogo, quando il quinto Gurū decise di ingrandire il bacino sacro e di  iniziare, proprio al centro di esso, la costruzione di un tempio, destinato a divenire il monumento più sacro del Sikhismo.

Il santuario  si erge su una piattaforma ed è collegato alla terraferma da  un camminamento di circa 60 metri che, originandosi da un padiglione con arco polilobato (Darshani Dehori), costituisce una sorta di ponte sull’acqua cristallina del lago. Ogni giorno, migliaia di fedeli lo attraversano per poi  varcare una delle quattro entrate del tempio, aperto a chiunque.

I  quattro portali, infatti, aprendosi su ogni lato dell’edificio,  stanno a simboleggiare l’universalità del Sikhismo che, al di là delle diversità genere, casta, religione o estrazione sociale, accoglie tutti coloro che vogliono avvicinarsi all’unico Dio[5]. Ma le quattro porte, non a caso orientate verso i quattro punti cardinali, hanno anche un altro significato: esse adombrano, infatti, il primo dispiegarsi dal centro dell’ energia divina a definire lo spazio. In virtù di questa simbologia, antichissima e comune a molti sentieri religiosi, il santuario stesso e, in particolare, il centro di esso dove, nel  1604, il  quinto Gurū il pose il Libro sacro,  l’Ādi  Granth (il ‘Libro Originario’), diventano non solo un centro geometrico e architettonico, ma anche e soprattutto simbolico.
L’idea del ‘centro’ ha sempre rivestito grande importanza nelle antiche culture tradizionali, ma non è questa la sede per approfondire una tematica così vasta e già debitamente indagata da diversi studiosi[6]. Ci limiteremo, pertanto, a sottolineare che il Tempio d’Oro, essendo dotato  di portali situati  ai punti cardinali, nonché a causa della sua posizione (al centro di un bacino di acqua sacra) evoca quel ‘centro’ –dalla geografia simbolica–  dove si manifesta il sacro e dove è possibile quella ‘rottura di livello’ che permette la comunicazione fra il piano umano e quello divino.
Centro geometrico e simbolico, dunque, il santuario che ci appare oggi è una ricostruzione dell’originale. L’antico tempio progettato dal 5° Gurū, infatti, non esiste più poiché, nel tempo, il monumento subì ripetute distruzioni, per lo più perpetrate dalle milizie di principi afghani nemici. L’ultima di queste invasioni, avvenuta nel 1762, fu opera del sovrano afghano Ahmad Sha Abdali, che saccheggiò Amritsar e distrusse sia il Tempio d’Oro, sia l’Akal Takht, il ‘Trono dell’Immortale’.
Era questa una costruzione che sorgeva di fronte al Tempio, sullo stesso asse longitudinale,  eretta dal 6° Gurū, Har Govind (1606-1644). Qui venivano discusse le questioni politiche e organizzative della Comunità. La sua distruzione, in quella guerra dei simboli che accompagna ogni conflitto, compresi quelli odierni, assunse la valenza politica di annientamento dei due centri di potere della tradizione Sikh: quello religioso e quello politico, rappresentati dal Tempio d’Oro e dall’Akal Takht.
La sanguinosa invasione di Ahmad Sha Abdali non piegò la volontà e l’operosità dei Sikh che, prontamente, ricostruirono il tempio, probabilmente sulla base del progetto originario[7].  A difesa della nuova costruzione fu posta una guarnigione militare, che stabilì il suo quartiere generale proprio nei pressi del Tempio. A questa milizia sia aggiunse, come ulteriore misura difensiva, un gruppo scelto di combattenti noti con il nome di Nihaýg ‘Santi Guerrieri’, appartenenti al Khālsā, la ‘Comunità dei Puri’[8], che si stabilirono nell’Akal Takht, anch’esso ricostruito [9].
Forte di questa difesa, il santuario non fu più distrutto; anzi, all’inizio del 19° secolo, fu ulteriormente arricchito con nuovi elementi architettonici e preziose decorazioni –come, ad esempio, il rivestimento della cupola con foglie di oro zecchino – per volere del potente e valoroso sovrano del Panjab, Ranjit Singh (1780-1839). Questi, infatti, dopo aver  ampliato  notevolmente i domini Sikh e sconfitto a sua volta il sovrano afghano Sha Zaman, aveva voluto arricchire il Tempio, conferendogli l’aspetto che esso conserva ancora  oggi.

Ranjit Singh, tuttavia, non si limitò ad abbellire il santuario,  ma vi costruì intorno, sulle sponde del lago, una serie di edifici, preposti a varie funzioni: sociali, culturali, economiche, religiose. Con il passare del tempo, si aggiunsero altre costruzioni,  così che il santuario è oggi il cuore di un vasto complesso che si snoda lungo i bordi marmorei del lago; un vero e proprio percorso (parakrama) per la circumambulazione delle acque sacre e del tempio.

 L’Architettura e  le Decorazioni  

Il santuario, a tre piani compresa una terrazza, presenta volumi compatti e una pianta assai peculiare. La sua forma, infatti, è quadrata ma, sul lato est, si allunga a formare un esagono.

 

 

 

Piano terra del Tempio d’Oro. Cortesia  P.S. Arshi, Sikh
Architecture in Punjab
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Internamente, il perimetro degli ambienti segue il disegno della pianta.
Il piano terra è costituito da una grande sala, al centro della quale risiede il venerato  Gurū  imperituro,   l’Ādi  Granth  il ’ Libro sacro’.
Le pareti sono impreziosite con lastre di marmo e rame dorato , rivestimento caratteristico anche dell’esterno del santuario.
Il piano superiore è formato da una balaustrata perimetrale, articolata in vani e nicchie, che si affaccia sulla sala sottostante,  permettendo così a coloro che  la percorrono o vi sostano in preghiera, di seguire le funzioni che si svolgono nella sala centrale.
L’ultimo piano è, in realtà , una terrazza nel mezzo della quale si erge un padiglione,  circondato da quattro padiglioni più piccoli e sormontato da una cupola scanalata,  su cui  si  innalza a sua volta un pinnacolo.
Il lessico architettonico dell’insieme è sincretico, derivando per molti aspetti dall’architettura indo-islamica.
Non va dimenticato, infatti, che l’affermarsi in India dell’impero Moghul [10] aveva dato vita ad un  nuovo linguaggio artistico che aveva fuso modelli ed elementi di varie tradizioni: centro asiatiche, persiane, indiane e perfino europee. Le nuove tendenze avevano, a loro volta, influenzato le scuole artistiche più propriamente indiane – quelle dei  Rajput, in particolare– che, tuttavia, avevano adattato i diversi suggerimenti al gusto della loro tradizione. Ne era nata una corrente artistica sincretica, generalmente definita indo-islamica, che aveva permeato di sé le maggiori architetture dell’epoca, religiose,  civili e  sepolcrali.
Il Tempio d’Oro, sorto durante il dominio Moghul, non fa eccezione; vi ritroviamo, infatti, molti elementi tipici dell’architettura indo-islamica: i piccoli padiglioni angolari sormontati da cupolette (chattri), di origine indiana ma tanto cari all’architettura moghul, che li aveva arricchiti di grondaie spioventi (chajja); gli archi polilobati; le finestre aggettanti; la cupola scanalata, che richiama la cupola delle moschee e, non ultimo,  i bacini d’acqua lustrale (kund),  assai diffusi sia nell’architettura templare induista, che in quella palaziale e sepolcrale moghul.
Nonostante il lessico sincretico, tuttavia, l’architettura del Tempio d’Oro è assolutamente originale poiché i vari elementi sono stati composti in maniera unica e particolare, secondo una disposizione armonica dei volumi, che seguono schemi compositivi regolari. Scrive, infatti, Pardeep Singh: “ What is unique in the Golden Temple architecture is not so much in the individual features in isolation, but their composition in the particular existing form[11].
Al complesso equilibrio strutturale, fa riscontro una esuberante decorazione, anch’essa assai originale.

Innanzi tutto, il santuario  è ricoperto –nella parte mediana e superiore– di lastre di rame dorato che riflettono e diffondono i raggi luminosi, offrendo  infinite occasioni  al mobile gioco dei riflessi.
La superficie luminosa è ulteriormente impreziosita da rilievi lavorati a sbalzo o incisi, raffiguranti per lo più motivi floreali, ma non mancano figure di animali e, sebbene più raramente, le immagini dei  Gurū della tradizione.
La parte inferiore del santuario, in contrasto con la superficie dorata, è ricoperta di lastre di marmo bianco, molto decorate.
Le tecniche impiegate sono varie: pittura, intarsi e il ‘commesso di pietre dure’ di origine italiana –in particolare fiorentina– importata dagli imperatori Moghul. Secondo questa tecnica, simile all’intarsio, nell’incavo della superficie marmorea  vengono fissate varie pietre di diversi colori.
La profusione degli ornati, unita al gioco dei volumi, rendono questo monumento unico nel suo genere e fonte di ispirazione non solo di ogni santuario Sikh (chiamato gurdwārā, la ‘porta del Gurū’), ma anche di alcuni templi induisti del Panjab. Fra questi, ricordiamo  il tempio Lakṣmī –Nārāyanṇa,  ad Amritsar,  che ripropone una simile struttura e perfino una simile  decorazione.

 

 

 

 

 

Tiziana Lorenzetti
https://institutesouthasia-rome.academia.edu/TizianaLorenzetti

[1] La mancanza di documenti scritti non permette di confermare questa data con sicurezza. Cfr. Pardeep Singh Arshi, Sikh Architecture in Punjab, Panjab University, New Delhi 1987, p. 89.
[2] Secondo la tradizione più diffusa, si narra che l’imperatore Akbar, di ritorno a Lahore dalla spedizione contro la fortezza rajput di Chittor, avesse  fatto visita al terzo Gurū e che fosse rimasto molto colpito dalla sua saggezza. D’altronde Akbar amava discorrere con sapienti di tutte le Fedi. Purtroppo, i suoi successori non uguagliarono il grande imperatore né per tolleranza, né per saggezza e perseguitarono tutte le religioni (non islamiche) presenti nel loro territorio, in particolare il Sikhismo.
[3] Pardeep Singh Arshi, op. cit.,  p. 85.
[4] Ibidem. Cfr. anche Id. The Golden Temple, History, Art and Architecture, New Delhi, 1989,p. 3.
[5] Cfr.  Darshan Singh, The Sikh Art and Architecture, Punjab University, Chandigarh 1986-87  p. 4
[6] Cfr. R. Guénon,  Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano, 1975 (Symboles fondamentaux de la Science sacrée, 1962) pp. 63-71; M. Eliade,  Immagini e simboli, Saggi sul simbolismo magico-religioso, Jaca Book,  Milano 1987 (Images et Symboles, essai sur le symbolisme magico-religieux, 1952), pp. 29-54.
[7] Pardeep Singh Arshi, The Golden Temple,  op. cit.,  p. 41.
[8] Il decimo Gurū, Govind Siṅgh (1675-1708), in seguito alle invasioni degli Afghani e alla  crescente ostilità degli imperatori Moghul, istituì il Khālsā, la ‘Comunità dei ‘Puri’, composta da combattenti per la Fede, che sarebbero divenuti l’ala militante della Comunità Sikh.
[9] Cfr. Amandeep Singh Madra & Parmjit Singh, The Golden Temple of Amritsar, Reflections of the Past ( 1808-1959), London 2011,  p. 4.
[10] Nel  1526, Bābur,  il sovrano di un piccolo principato dell’Afghanistan, penetra nell’India del nord e dà inizio al regno dei Moghul. Un grande impero che, con alterne vicende, vivrà per oltre tre secoli e comprenderà, nel periodo della sua massima estensione, un territorio vastissimo: dall’Afghanistan al Kashmir, e dal Gujarat all’Orissa, arrivando a dominare gran parte dell’India meridionale.
[11] Arshi, Pardeep Singh, Sikh Architecture in Punjab,  op. cit.,  p. 93

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