La Musica indiana: Esperienza estetica e Via di Liberazione individuale (mokṣa)
Valentina Di Tommaso
Nella lingua sanscrita il termine rasa deriva dalla radice ras “gustare, percepire” e significa “succo, gusto” . Esso esprime un concetto fondamentale della filosofia e della musica indiana, che può essere descritto come l’esperienza estetica trascendentale di un complesso di sensazioni emotive1. È il fine ultimo e più significativo dell’arte in generale. Sperimentare il rasa nell’arte corrisponde al conseguimento di uno stato mistico, secondo una prospettiva che valorizza la fruizione estetica solo in quanto, contemporaneamente, questa si sublimi in una condizione estatica, cioè volta a una realizzazione soteriologica trascendente. In altre parole, il godimento estetico diventa il veicolo per raggiungere uno stato di totale trasformazione dell’individuo che lo sperimenta. Il rasa è, quindi, per l’India, la vera anima dell’arte, che si focalizza non tanto sull’oggetto, ma sullo stato che ne deriva. Una intuizione, questa, che può sembrare molto diversa dalle concezioni artistiche occidentali; tuttavia, non va dimenticato come, anche da noi, l’opera d’arte, soprattutto se rivolta alla rappresentazione religiosa, abbia spesso avuto un fine non troppo dissimile, che, non a caso, trovava espressione negli edifici sacri (tempio, cattedrale, santuario, cappelle private).
Il filosofo indiano Abhinavagupta (X-XI sec. d.C.) ha indagato a fondo il significato dell’esperienza estetica nel suo commento al Nāṭyaśāstra (‘Trattato sul Teatro’,IV-VIII sec.; nucleo originale, forse I sec. d.C.). Egli interpreta tale sensazione come ānanda,cioè‘beatitudine’:Quando il rasa è stato realizzato e, quindi, il suo godimento viene percepito dall’ascoltatore, si rivela come un piacere diverso da quelli conservati nella memoria in seguito alla comune esperienza. Infatti, consiste in un moto dell’animo caratterizzato da espansione e da radiosità, ma altresì in un sentimento di partecipazione e di coessenzialità. È la beatitudine che si genera dal riconoscere la propria identità con il supremo Brahman, nella quale si riposa, poiché in esso si ricorda l’intima natura del proprio sé.
Su questo principio poggia tutta la ragione d’essere dell’arte indiana. Sulle sue regole si costruiscono tutte le sue forme: i rapporti delle proporzioni architettoniche e quelli tra i suoni; i principi degli accenti ritmici nella musica e i colori nella pittura; i movimenti del corpo nella danza; l’armonia complessiva della figura umana nelle forme scultoree.
Il concetto di rasa nacque nel contesto delle poetiche letterarie e della rappresentazione scenica e da qui esso fu applicato in campo musicale. Nella teoria della musica classica indiana il rasa fa la sua comparsa nel Nātyaśāstra di Bharata, in cui vengono elencati otto rasa, santificati dall’autorità divina di Brahma, ed a ssociati sia con i colori sia con varie divinità. L’associazion e rasa-colore-divinità diventa canonica e permane, con lievi differenze, anche nei trattati successivi .
Ed ecco, nell’ordine, gli otto rasa:
- śṛṅgāra: Si riferisce all’amore passionale e al desiderio dell’unione sia carnale, sia trasfigurata nel sentimento profondo dell’unione spirituale con il Signore. Il suo colore è il verde/blu; la divinità è Viṣṇu, nel pantheon induista protettore del Dharma.
- hāsya: Ilarità, gioia, divertimento. Il suo colore è il bianco; la divinità è Ardhanārīśvara, Śiva per metà uomo e per metà donna, che rappresenta la pienezza androgina, cui si aggiunge la forza ambivalente, che dissolve e distrugge i mondi, ma anche li rigenera e sostiene.
- karuṇā : Tristezza, compassione, unione empatica, amore incondizionato senza aspettative, servizio dell’altro, apertura del cuore, ed anche rimpianto. Il suo colore è il grigio-tortora; la divinità Yama, Signore della morte, che trattiene le cose nella sua stretta.
- raudra: Furore, ira, energia, forza. Risposta all’ingiustizia, reazione all’offesa. Il suo colore è il rosso; la divinità è il tempestoso dio vedico Rudra, identificato come ‘urlatore’ e precursore dell’aspetto terrifico di Śiva.
- vīra: Eroismo, determinazione, giustizia. Il suo colore è il giallo-ocra; la divinità è il vedico Indra, che presiede al temporale e alla forza guerriera.
- bhayānaka: Terrore. Il suo colore è il nero; la divinità è Kāla, personificazione del Tempo e simbolo della morte.
- bībhatsa: Disgusto, odio, ribrezzo. Il colore è il blu; la divinità è Mahākāla, aspetto terrifico di Śiva, oltre il tempo.
- Adbhuta: Meraviglia di fronte a cosa inaspettata, che arresta il respiro per lo sbalordimento. Il colore è il giallo; la sua divinità è Brahmā, creatore dell’Universo.
Un nono rasa, śānta, Calma, Pace interiore, fu aggiunto nell’ VIII secolo. È associato al colore gelsomino e a Candra, divinità lunare e Luna stessa, di genere maschile, che favorisce la crescita delle piante e mitiga l’ardore solare. Secondo alcuni, l’esperienza estetica conduce allo stato di śānta, nel quale si verifica l’arresto dell’agitazione mentale e si perviene all’appagamento interiore.
Attualmente viene anche considerato un decimo rasa, bhakti, la devozione al Signore.
Se però nel trattato di Bharata, e nella drammaturgia in generale, i rasa sono minutamente classificati, soprattutto in vista della loro destinazione scenica, nella musica esso non costituisce una specifica sensazione emotiva, bensì si sostanzia in un loro armonico complesso, come effetto della fruizione musicale sull’ascoltatore. Secondo la trattatistica musicale indiana, è il cambiamento o la reazione, nel corpo e nella mente (a prescindere dall’attività del pensiero), causata da un’emozione.
In musica il rasa è generato dal rāga, termine che deriva dalla radice raj, rañj, che colora, tinge il complesso della mente umana, identificata con il termine citta (inglese, mind).
Il rāga è un modulo sonoro-musicale costituito da una grammatica di movimenti tipici, enfasi, intonazioni e inflessioni particolari. Esso provocano un impatto emozionale, per cui, oltre a queste caratteristiche musicali, sono associati a determinati momenti della giornata, alle stagioni e ad alcune ricorrenze. Ranjayati iti rāga (“Il rāga provoca soddisfazione, gioia”). Ciò significa che il rāga, che si basa su una determinata scala modale, deve essenzialmente possedere potenzialità estetiche.
Il binomio rāga-rasa va inteso come l’unione inscindibile tra suono organizzato e reazione allo stimolo estetico. L’episodio musicale, quindi, deve la sua completezza al sentimento che ne scaturisce, in seguito al ‘gusto’ che l’ascolto distilla dalla fruizione avvenuta . Mentre il rāga rappresenta la potenzialità di ‘colorare’, insita in un determinato nucleo musicale, il rasa ne garantisce l’attuazione e la percezione, in quanto modo di manifestazione ed effetto musicale ad un tempo.
Nella musica classica indiana, i rasa delle emozioni, non vanno identificati con le emozioni primarie dell’uomo, individuate anche da altre tradizioni musicali, ma sono emozioni da intendersi in senso puro ed astratto. Tali stati emotivi non hanno alcuna base pratica e utilitaristica; essi, infatti, sono contraddistinti da una esperienza di ordine trascendentale, indipendente da ogni realizzazione del desiderio.
La musica classica indiana espressa nel rāga, costituisce una via di liberazione personale del fruitore, una volta che l’effetto del rasa agisca sulla sua mente complessivamente intesa (citta). Per far sì che ciò accada, è necessario che il musicista sia in grado di provocare tale reazione e l’ascoltatore sia predisposto, attraverso un’attitudine a lungo coltivata e infine realizzata, a tale esperienza.
In conclusione, il binomio rāga-rasa della tradizione indiana (o, ancor meglio, induista) è del tutto originale nel suo genere e non trova corrispondenza in altre culture musicali.
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Roberto Perinu, La musica indiana i fondamenti teorici e le pratiche vocali e musicali attraverso i tempi, Edizioni G.Zanibon.
Roberto Perinu, Scritti di Musica Indiana, Voll.1 e 2, edizione 2016, Editore Acta Bugellae.
Patrizia Saterini:Musica indiana. Teoria ed approfondimenti da una prospettiva occidentale.
Barburao Joshi, Understanding Indian Music, 1963.
Vorrei ringraziare la dott.ssa Tiziana Lorenzetti, Presidente dell’ISAS, Roma, per avermi affidato l’Introduzione al Concerto di oggi del Maestro Nihar Metha e del Maestro Nicolas Delaigue.
Vorrei anche ringraziare Roberto Perinu, Professore di Teoria della Musica Indiana e di Sanscrito presso il Conservatorio di Vicenza, per i suoi utili consigli e i suoi colloqui con me in merito alla Musica India ; ed Fabio Scialpi, Professore di Filosofia indiana, Religione e Storia presso l’ Università Sapienza di Roma, per i suoi suggerimenti su alcuni punti del presente Testo.